C’erano una volta un napoletano e un cameriere thailandese in un hotel di lusso a Bangkok.
Ecco, quella che potrebbe sembrare a tutti gli effetti l’inizio di una barzelletta è in realtà il ricordo molto importante di una follia che Diego ha architettato per me.
Vi ho mai raccontato di quando ho ricevuto la mia proposta di matrimonio in viaggio?
No?
Beh, mettetevi comodi, credo sia proprio arrivata l’ora di farvi fare due risate e -chissà- magari di emozionarvi anche un pochino.
Avete presente quei film nei quali l’uomo, inginocchiato e tremante, guarda negli occhi la sua amata aprendo il cofanetto magico?
E avete presente quando lei, alla vista dell’anello che ha sempre sognato, si porta le mani alla bocca con espressione stupita e urla “SI!SI! LO VOGLIO” e tutti intorno fanno l’applauso?
Bene, dimenticate queste scene. Rimuovetele. Cancellatele.
Innanzitutto perché io non ho mai amato i gioielli e poi perché la mia reazione è stata così spontanea, ma così spontanea…Da trasformarsi in un attacco di panico.
Il momento che sto per raccontarvi è infatti totalmente diverso da quello che ci propinano serie tv e reality. E’ stato nostro. Reale.
Siete pronti?
Allora, dicevo.
C’erano (davvero) un napoletano e un cameriere thailandese in un hotel di lusso a Bangkok.
Il napoletano in questione era Diego e aveva deciso che quella sera mi avrebbe avanzato la fatidica proposta. Aveva pensato proprio a tutto, ma si sa, anche la più puntigliosa delle organizzazioni può essere scalfita da contrattempi.
Il primo ostacolo, in realtà, lo aveva incontrato giorni prima in Myanmar.
All’aeroporto di Yangon si doveva compilare un modulo per dichiarare eventuali oggetti di valore e lui, che conservava ben nascosta la scatolina contenente il mio anello, aveva trovato una scusa improbabile per andare a comunicarlo all’addetto in questione il quale, ovviamente, non conosceva neanche una parola in inglese.
“Male che vada, la proposta gliela faccio qui”, aveva allora concluso tra sé e sé il mio attuale marito.
Ma, come nei migliori giochi a più livelli, gli ostacoli veri dovevano ancora arrivare.
L’ultima tappa del nostro lungo viaggio in Asia era, appunto, Bangkok.
Diego, per quella sera, aveva prenotato un tavolo nel ristorante panoramico più bello di tutta la Thailandia. Un sogno, dico davvero.
Ero consapevole che avremmo visitato il posto, ma soltanto per un aperitivo e un paio di foto.
Mentre mi preparavo, convinta che saremmo poi andati a cenare in un posticino super local e senza fronzoli, lui con un’ennesima scusa banalissima era uscito per comprarmi dei fiori in quella megalopoli orientale, senza avere inoltre la minima idea se ci fosse o meno un negozio adatto nel giro di chilometri.
Alla fine, dopo mille peripezie per far capire al fioraio che tipo di mazzo gli servisse, era riuscito nel suo intento.
Non potendolo però portare nella stessa camera nella quale mi trovavo io, aveva ben pensato di consegnarli ai camerieri dello sky restaurant, insieme all’anello. Una volta raggiunto il piano, con le rose in una mano e la scatolina nell’altra, tra le congratulazioni di chiunque incontrasse il suo cammino, si era però scontrato con un altro ostacolo: il dress code, particolarmente severo per gli uomini.
Lui, che aveva pianificato ogni dettaglio, non aveva ragionato sul fatto che non avrebbe potuto posizionare da sé i fiori sul tavolo in bermuda e infradito. Quindi, nel marasma assoluto che può comprendere solo chi è stato in un bar panoramico all’ora del tramonto, aveva affidato tutto ad un cameriere qualsiasi che in quel momento stava correndo a destra e sinistra, con la speranza che si ricordasse di lasciare i fiori sul tavolo e di portare l’anello al momento giusto.
Tornato in camera, aveva dovuto raggirare un ennesimo pericolo: io.
“Amore, ma stavo pensando, dato che ho fame, perché non saltiamo l’aperitivo? Tanto ci siamo già stati!”.
Credo che, tra l’ansia della proposta di matrimonio e quella di cercare una motivazione plausibile, Diego in quel momento mi abbia odiata.
Alla fine mi ha convinta a raggiungere lo sky bar per bere qualcosa ed è lì che ho scoperto che c’era una prenotazione a suo nome. E si, i fiori alla fine erano stati sistemati sul tavolo corretto.
Voi direte “Beh, ma a quel punto avrai capito chiaramente che ti avrebbe fatto la proposta”. No, zero, per niente.
Io, a volte, scendo letteralmente dalle nuvole.
Pensavo volesse semplicemente sorprendermi con una cena romantica. Ok, forse effettivamente con il senno di poi era un po’ troppo romantica, eppure il mio cervello in quel momento non mi aveva assolutamente suggerito la parola “Matrimonio”.
La verità è che, pur avendone ovviamente parlato in coppia, io non sono mai stata una di quelle ragazze ansiose di sposarsi. Non ho mai preteso dichiarazioni, né ho mai insistito per affrettare i tempi. Mai -e dico mai- mi sarei aspettata che quella serata sarebbe diventata una delle più importanti della mia vita.
Invece ad un certo punto lo ha fatto.
Tra un’ostrica e una tartare di tonno, si è inginocchiato.
Panico.
Mi ha chiesto di sposarlo.
Sempre più panico.
Tutti battevano le mani.
Livelli di panico esponenziali.
I camerieri ci hanno raggiunti con dei sorrisi enormi ed un dolce che recitava la scritta “Congratulations”. (A proposito: coraggiosissimi!)
Svengo.
La risposta immediata e spontanea è stata ovviamente “Sì”, seguita da una serie di “Oh mamma, ora alzati, dai alzati!” e “Ci guardano tutti” per poi continuare con “Si ci sposiamo, però non adesso”. Una crisi di ansia a tutti gli effetti, con tanto di confusione mentale e paura.
Una reazione che con quelle che ci propinano serie tv e commedie d’amore non ha però nulla a che vedere.
I primi tempi mi sono anche un po’ sentita in colpa, sapete?
Credevo -con la mia emotività estrema- di aver rovinato un momento che sarebbe dovuto essere perfetto. Poi però ho capito una cosa: se tornassi indietro, non cambierei un solo attimo di quella serata. Perché, perfetta, lo è stata eccome.
E’ stata unica, speciale.
E’ stato l’attimo più forte, dolce e allo stesso tempo folle che io abbia mai vissuto.
Un ricordo che si abbina perfettamente a ciò che mira a suscitare Mon Paris Couture, la nuova fragranza femminile Yves Saint Laurent che sarà possibile trovare in anteprima dal 5 febbraio all’11 marzo soltanto nelle Profumerie Ethos e che grazie alle sue note fiorite, audaci e vertiginose racchiuse in un elegante flacone di cristallo sfaccettato vestito con il fiocco lavallière celebra la passione estrema.
Quella stessa passione che vi ho appena raccontato, sperando vi aiuti a riflettere su una cosa che mi sta molto a cuore e che ho imparato col tempo: ogni amore è a sé e non esiste una storia paragonabile ad un’ altra.
Amare qualcuno vuol dire fare di tutto per vederlo sorridere. Proprio come Diego che ha architettato tutto questo per rendere la serata indimenticabile e che, alla necessità del piano B, non avrebbe avuto problemi ad inginocchiarsi nell’aeroporto di Yangon.
A proposito, ricordate il mio disinteresse verso i gioielli?
Sul mio anello di fidanzamento non c’era alcun diamante, ma qualcosa di estremamente personale che mi ha resa ancora più fiera dell’uomo che ho accanto. Perché i miei occhi si sono riempiti di lacrime quando si sono posati sulla parola incisa sulla semplicissima fascia di oro bianco: “Wanderlust”.
Articolo in collaborazione con YSL Beauté e Ethos Profumerie.
P.S: Recandovi presso la Profumeria Ethos più vicina riceverete una sorpresa speciale.
Super romantico!! Grazie per aver condiviso con noi questo momento! ?